sabato 28 marzo 2020

La conversione possibile e non più rimandabile


In piena crisi da pandemia ripartiamo dalla profezia di Alex Langer sulla conversione ecologica  

Colloqui di Dobbiaco (Bolzano) 1994

  
La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile di Alexander Langer

E' tempo di pensare ad una costituente ecologica.

1  Abbiamo creato falsa ricchezza per combattere false povertà - Re Mida patrono del nostro tempo

Da qualche secolo ed in rapido crescendo si produce falsa ricchezza per sfuggire a false povertà. Di tale falsa ricchezza si può anche perire, come di sovrappeso, sovramedicazione, surriscaldamento ecc. Falso benessere come liberazione da supposta indigenza è la nostra malattia del secolo, nella parte industrializzata e "sviluppata" del pianeta. Ci si è liberati di tanto lavoro manuale, avversità naturali, malattie, fatiche, debolezze - forse tra poco anche della morte naturale - in cambio abbiamo radiazioni nucleari, montagne di rifiuti, consunzione della fantasia e dei desideri. Tutto è diventato fattibile ed acquistabile, ma è venuto a mancare ogni equilibrio.

Non solo l'apprendista stregone è il personaggio-simbolo del nostro tempo. L'antico re Mida - che ottenne il compimento del suo desiderio che ogni cosa che toccava si trasformasse in oro - ci appare come il vero patrono dei culti del progresso e dello sviluppo, l'attualissimo predecessore dei benefici della nostra civiltà.

2  Non si può più far finta si non sapere, l'allarme è ormai suonato da almeno un quarto di secolo ed ha generato solo provvedimenti frammentari e settoriali

Da qualche decennio e con sempre maggiori dettagli si conoscono praticamente tutti gli aspetti di questo impoverimento da cosiddetto benessere. Quasi non si sta più a sentire quando si recita, più o meno completa, la litania delle catastrofi ambientali.

domenica 15 aprile 2018

Pod zemljom e le donne ribelli alla guerra


Pod zemljom è un progetto di Martina Scalini, Mario Blaconà, Valerio Casanova e Gabriele Camilli, realizzato grazie a FuoriRotta. Dal 25 agosto all’8 settembre, un viaggio attraverso i Balcani lungo i sentieri dimenticati delle mine antiuomo, tra i fantasmi della memoria dell’ex-Jugoslavia.

Franca ha 70 anni e vive con il marito qui a Castenedolo, in una delle villette che si incontrano nelle strade tutte uguali. Lavorava vicino a casa sua, alla Meccanotecnica, una fabbrica di manufatti in plastica (giocattoli, mobili e porta oggetti colorati) attiva dal 1962. Ma presto, nel 1980, quella stessa fabbrica si fonde con un’altra azienda, la Valsella, e diventa uno dei maggiori produttori al mondo di mine antiuomo.



domenica 29 gennaio 2017

Quelle operaie della Valsella



Care amiche, Cari amici,
sono Franca Faita. 
Ho lavorato nella fabbrica di mine, la Valsella Meccanotecnica di Castenedolo, poco lontano da Brescia, dal 1967. Fino al 1980, la Meccanotecnica (la fabbrica si chiamava così allora) produceva televisori e mobili in plastica. A quell’epoca eravamo 200 dipendenti. Nel 1980, avviene la prima crisi nel settore; l’azienda ci mette in CIG – Cassa Integrazione Guadagno – per 12 mesi. 

Nel 1983, l’azienda ci comunica che il mercato dei prodotti civili non tira più e che gli operai erano troppi: 30 dipendenti devono lasciare.
La ditta ci informa che saremmo diventati un’azienda militare, incorporando la ditta Valsella con 60 dipendenti. Siamo così diventati la famigerata “Valsella Meccanotecnica”. Da allora, abbiamo iniziato a produrre le mine antipersona e gli stipendi aumentavano senza bisogno di fare scioperi o proteste. Siamo andati avanti per 10 anni con commesse grandiose. Quando le commesse finivano, nessun problema per noi: ci mettevano in CIG e l’azienda continuava a pagare i salari.

Da parte sindacale, ad ogni incontro con la proprietà, chiedevamo: “Per chi sono tutte queste mine?”. La risposta era: “Segreto militare”. 

Si calcola che la Valsella, nella sua breve storia, abbia fatto oltre 30 milioni di mine! Chiedevamo: “Ma perché servono migliaia e migliaia di mine?”. Risposta: “Per difendere il territorio dal nemico”. I tecnici della Valsella si recavano spessissimo alla SEI, Società Esplosivi Industriali di Ghedi (Brescia). Come mai? Studiavano e facevano esperimenti per “migliorare” le mine. Ma anche quello era un “segreto militare”. 


venerdì 27 gennaio 2017

Esempi concreti di riconversione

Armi (e coscienze) da riconvertire 
da Nigriza 
Lo sostiene Gianni Alioti, responsabile Ufficio internazionale Fim-Cisl. La creazione di un posto di lavoro nel militare costa quanto una decina di posti nel civile.
In Italia, pur in presenza di una grave crisi economica, un tema è totalmente assente dal dibattito politico: tagliare le spese militari per salvaguardare quelle sociali. Su questo argomento rimosso e sulla riconversione produttiva dal militare al civile abbiamo sentito Gianni Alioti, responsabile dell'Ufficio internazionale del sindacato dei metalmeccanici della Cisl.

La manovra economica e le precedenti hanno risparmiato la spesa per l'acquisto di armi, nonostante ammontino ad alcuni miliardi di euro l'anno. È possibile che le armi siano considerate un fattore di sviluppo?
Sì, ma solo in una logica di potenza. In tutti gli altri casi è solo per ignoranza o per malcelato desiderio di fare affari privati con denari pubblici. Certo, nel mondo, dietro la produzione di sistemi d'arma ci sono milioni di ricercatori, progettisti, operai. C'è sviluppo di tecnologie. Con gli stessi soldi, però, con cui si crea un posto di lavoro nell'industria militare, se ne creano 10-20 nella green economy o nei settori della micro-elettronica, dell'automazione industriale, dei mezzi di trasporto....

Insistere con la produzione di armi, visti i tagli apportati da Usa e Regno Unito e da altri paesi in crisi, non potrebbe tradursi in maggiori spese dello stato per cassa integrazione, mobilità o per commesse militari per far sopravvivere le aziende?
Con le procedure avviate di mobilità, cassa integrazione straordinaria e chiusura di attività paghiamo sia il colpevole ritardo con cui è stata percepita la crisi, sia le scelte miopi - di disinvestimento nel civile - compiute da Finmeccanica a fine anni '90. Già oggi c'è chi sostiene il programma F35 (i 131 Joint Stright Fighter, velivoli di attacco aereo che l'Italia si è impegnata ad acquistare entro il 2026, per 13 miliardi di euro), pensando che rappresenti l'unica opportunità per l'Alenia Aeronautica, senza ragionare in termini di costi-benefici.

È evidente che con i fondi risparmiati tagliando la spesa militare si potrebbe migliorare la qualità della vita degli italiani. Può fare esempi concreti di riconversione produttiva dal settore bellico al civile?
Mentre un carro armato o un caccia-bombardiere è una spesa improduttiva, un riduttore per l'eolico, un collettore per il solare termico, un film sottile per il fotovoltaico, un inverter, un robot, una metro o nuovi treni per i pendolari aumentano il livello di efficienza e produttività dell'intero sistema economico, creano più occupazione, migliorano la qualità della vita e dell'ambiente. Pochi sanno che la più importante realtà eolica in Italia - con oltre 700 occupati - controllata dalla danese Vestas, è nata da un progetto di riconversione nel civile di Aeritalia (l'attuale Alenia Aeronautica). Oppure che la Oerlikon Graziano di Bari, che produce sistemi di cambio per auto di alta gamma e per trattori, è una diversificazione nel civile dell'Oto-Melara. Un altro concreto esempio è lo sviluppo dei traghetti veloci e dei grandi yacht come parziale conversione produttiva dei siti militari di Fincantieri; così come gli usi civili degli elicotteri Agusta, sino a farne un mezzo di trasporto pubblico competitivo.

Il movimento sindacale come intende muoversi affinché si attuino concretamente politiche di pace e in particolare per realizzare il principio sancito dalla legge 185 del 1990, fino ad oggi inapplicato, sulla riconversione verso produzioni civili?
Ennio Flaiano diceva con ironia «ho poche idee, ma confuse». Mi sembra che questa frase rifletta bene, oggi, la posizione del movimento sindacale su questi temi. Si procede in ordine sparso, non c'è una comune sensibilità sui temi della pace e della nonviolenza. Alla marcia Perugia-Assisi non c'è stata adesione unitaria e sulle misure finanziarie per ridurre il debito pubblico, i sindacati non hanno chiesto di intervenire sulle spese militari (cosa su cui in passato la Cisl ha sempre insistito).
C'è da ricostruire, per prima cosa, una conoscenza delle tendenze del settore e una consapevolezza che la conversione-diversificazione nel civile è una scelta obbligata, oltre che per ragioni di natura etica, per motivi di politica industriale. Per fare ciò abbiamo bisogno di misure di sostegno alla riqualificazione professionale, di accompagnamento alla pensione, al trasferimento di persone e competenze in altri campi di attività; di sostegno alla reindustrializzazione di quei territori ad alta incidenza di industria militare, favorendo un approccio territoriale alla riconversione nel civile.

lunedì 2 gennaio 2017

Accadeva all'Aermacchi di Varese



Grazie al "Gruppo di ricerca sull'industria bellica del distretto industrial-militare varesino", autore collettivo del libro stesso, che Elio Pagani  e Marco Tamborini  possono proseguire la loro lotta nonviolenta contro gli indirizzi della produzione di Aermacchi e dell'intero settore bellico, nonché la loro iniziativa tesa a coniugare Diritto alla Pace e Diritto al Lavoro … (attraverso) … un progetto ambizioso, di cui questo libro rappresenta la prima timida creatura: mettere le basi per creare un Osservatorio permanente sull'industria militare nel "distretto industrial-militare varesino".

Attraverso questo libro prosegue, e in un certo senso riparte con più vigore, l'iniziativa antimilitarista di Elio e Marco e della realtà di movimento che essi hanno rappresentato, prima in fabbrica (l'Aermacchi di Varese) dentro il sindacato e tra i lavoratori, poi fuori della stessa (poiché espulsi brutalmente …), tra i colleghi in cassa-integrazione a zero ore e nel territorio.


Un distretto che vede fin dagli inizi del secolo produrre al suo interno molti dei sistemi militari aeronautici del nostro Paese, per una quota che oggi ammonta a circa il 50% del totale; un luogo da cui si sono tessuti rapporti commerciali, legali ed illegali, relativi a sofisticati sistemi d'arma e di cui sono estrema sintesi gli episodi emersi dagli scandali sui casi delle armi italiane in Sudafrica, Argentina, Iran e Iraq, o dalle indagini sul trafficante siriano di armi e droga Henry Arsan, arrestato in passato a Varese dal giudice Palermo, o da quelle del sostituto procuratore di Como, Romano Dolce, che in una recente inchiesta su un traffico di materiale nucleare, ispezionò le banche varesine e sentì come "persona informata sui fatti" il segretario amministrativo della DC di Varese. Una Provincia che ha sempre fornito alle Commissioni Difesa un numero rilevante dei suoi parlamentari -di diverse forze politiche-, spesso particolarmente attenti alle esigenze della produzione militare e sempre pronti a venire in soccorso delle industrie belliche locali con adeguati emendamenti alle ipotesi iniziali di spesa militare.

domenica 4 dicembre 2016

Obiettore alla produzione di armi


Lettera di Elio Pagani ai giovani del Movimento dei Focolari 
16 marzo 2016


Buon giorno, cari giovani

è con piacere e con un poco di batticuore e tanta speranza che mi rivolgo a voi, cerco di portare un contributo al vostro dibattito a partire dalla mia esperienza personale.



Appena conclusi gli studi iniziai a lavorare in una industria aeronautica della provincia di Varese, era il 1974. Allora Aermacchi realizzava solo velivoli militari, anche gli addestratori, nocciolo della produzione, avevano varianti militari e le Forze Aeree di molti paesi li acquistavano.

Nel 1975 fui eletto delegato tra gli impiegati della Direzione tecnica e ciò mi diede la possibilità di crescere in consapevolezza individuale e sociale.



Nel 1976 partecipai alla prima Assemblea nazionale dei delegati delle fabbriche d'armi, cui ne seguirono altre realizzate anche a livello europeo, grazie la guida di due sindacalisti straordinari Alberto Tridente e Pino Tagliazucchi. In quel contesto incontrai anche esponenti di movimenti di liberazione, mi colpì in particolare l'incontro con un sindacalista sudafricano in esilio, Jhon Gaetsewe, che mi raccontò di come il rapporto commerciale che il suo Paese intratteneva con l'azienda per cui lavoravo sosteneva l'apparato militare e repressivo dell'Apartheid.

sabato 3 dicembre 2016

La categoria del potere



Se produci le armi devi metterle in vendita. Con le armi avviene come per l’azzardo. Vale la legge individuata da Jean Baptiste Say, dominante in economia prima di Keynes: l'offerta è sempre in grado di creare la propria domanda. Insomma non comanda il consumatore e non può esercitarsi la sovranità del “voto con il portafoglio” perché chi ha il potere di immettere sul mercato certi prodotti ne induce anche il consumo. Pertanto bisogna reintrodurre e prendere coscienza, in campo economico, della categoria del potere. Non esiste solo la libertà astratta degli individui ma gli assetti di potere. Se si vuole cambiare bisogna rimettere al centro un lavoro politico in senso alto, la necessita di lottare e di fare “la buona battaglia”.
La giustificazione comune, che comunque altri venderebbero armi al nostro posto, è una pessima tesi che dimostra la miopia politica di cui soffre l’Italia. Non si esce dalla crisi affidandosi alle armi e all’azzardo. Bisogna denunciarlo in tutti i modi, con gesti forti, come lo sciopero della fame, vincendo il muro di silenzio dei principali media che sono condizionati dalla politica e da altri interessi. Farsi guidare nelle scelte strategiche dalla misura di un Pil che ormai incorpora illegalità, azzardo e armi vuol dire che l’Italia sta peggiorando, siamo un Paese che sta minando le fondamenta etiche del patto sociale. Bisogna riparlare della pace come categoria che informa tutti gli aspetti della vita. Un Paese non può vendere l’anima. Dobbiamo protestare e diventare costruttori di pace a tutti i livelli.
Luigino Bruni
economista su Città Nuova ottobre 2015